"Fuori dalla notte è arrivato il giorno. Fuori dalla notte la nostra piccola terra. Le nostre parole si disperdono. Le nostre parole viaggiano per trovare coloro che ascolteranno." (Enya, Less Than a Pearl))

giovedì 5 maggio 2011

Quadri e racconti-Lo Sbocciare dell'Anima

Tratto da un quadro di Mara Zavagno 1998, madre di Aura, sembra che siamo figli di artisti, non ha titolo ma darò alla storia il nome che avrei dato al quadro(non che sarei stato capace a disegnarlo).

Esiste un posto nel quale Davide non amava guardare. Quando dentro di sé nasceva un’emozione lasciava che le foglie la ricoprissero dando al tempo l’arduo compito di nasconderla al suo cuore.
Così, un giorno nel quale la leggera pioggia lasciava spazio a guizzi di sereno non rimase incantato,  come i suoi amici, davanti al meraviglioso spettacolo al quale assisteva. Impassibile finse stupore e come ormai era  di consuetudine recitò la parte che tante volte aveva simulato, quella del camaleonte. Un arcobaleno per lui era solo un arco che lo studio gli aveva insegnato a comprendere, quindi senza alcun abbozzo d’interesse. Davide amava studiare, carpire i segreti del mondo che tutt’intorno si mostrava ricco di sorprese, ma che in realtà non era che una forma straordinariamente complessa di regole alle quali era possibile dare una spiegazione: come amare, come stupirsi, come gioire o singhiozzare di qualcosa che esiste grazie ad un fenomeno chiaro e tangibile. Seduto nella ricchissima biblioteca che condivideva con suo padre rifletteva sull’inutilità dei sentimenti, sulla fragilità delle persone che lasciano al caso il potere di decidere della propria vita.
Ogni tanto Quegl’Occhi entravano a farsi spazio tra la sua armatura, ma ormai l’autunno si era fatto fitto nella sua anima ed i fiori appassivano in fretta. Il ragazzo guardò l’orologio era tempo di andare a scuola. Si era di nuovo addormentato in biblioteca, questa volta con un libro di Schopenauer in mano, l’ultima era Hegel… Non aveva tempo di fare colazione il pulmino sarebbe arrivato da lì a poco. Facendo le scale di fretta cadde, rotolò per una rampa colpendo la testa  prima contro il corrimano, poi la schiena contro il pianerottolo che lo divideva da altri due piani di gradini. Davide aprì gl’occhi, non aveva dolore, anzi non si era mai sentito così bene in vita sua. Il luogo nel quale era sdraiato al tatto dava l’idea di essere soffice, ma nel rialzarsi si accorse che sotto era solido e si sentì abbastanza sicuro da rimettersi in piedi. Il terreno su cui camminava era una distesa di foglie blu e lo scricchiolio dei suoi passi creava un rumore che gli faceva venire la pelle d’oca, come il gesso su una lavagna. Ogni tanto grandi folate di vento alzavano in aria il fogliame creando vortici di forme strane, e sotto il manto blu si affacciava sporadicamente il bianco delle nuvole che presto veniva nuovamente ricoperto. Davide non comprendendo bene dove si trovasse mise un passo dietro l’altro e continuò tra scricchiolii e ventate a camminare cercando di dare un  senso a tutto quello che lo circondava. Una nuova folata lo spinse indietro facendolo cadere e, le foglie cominciarono a roteare creando questa volta una forma tangibile. Strofinandosi gli occhi il ragazzo guardò la forma che materializzandosi davanti a lui, sgretolò i contorni della sua apatia. Davanti a lui sua madre, con la linfa tra il fogliame degl’occhi, si avvicinò e inginocchiandosi al suo fianco  gli prese la testa fra le mani tirandolo a sé. Davide si abbandonò alla creatura , le braccia quasi di vita propria si strinsero intorno a lei, chiudendo gli occhi pianse come non aveva più fatto da tanto tempo. Rialzò lo sguardo… era sparita. Intorno a lui le foglie avevano lasciato il posto a nuvole di panna, candide e soffici. Davanti a sé dove prima c’era la persona che più aveva amato, era sbocciato un fiore. Il ragazzo lo portò alle narici per assaporarne il meraviglioso profumo, poi con naturalezza lo portò alla bocca e deglutii, gustando tutta la dolcezza del fiore si accarezzò il petto e si rese conto che qualcosa dentro di sé era cambiato. Cadde a terra svenuto per il tornado di emozioni accumulate, sovrapposte, sotterrate negl’anni, che tutto ad un tratto erano emerse dal limbo. Si svegliò tra coperte bianche e muri azzurri, a fianco a sé suo padre addormentato ai piedi del letto. Un’infermiera entrando gli sorrise: “Ti sei svegliato giovanotto, tuo padre è stato in piedi tutta notte credo che abbia smobilitato tutti gli angeli del cielo per soccorrerti, adesso vi lascio soli”, poi uscì. L’uomo si scosse, vedendo Davide sveglio lo cinse a sé trasmettendo un calore che entrambi avevano dimenticato di avere. Quel giorno entrambi riebbero la loro anima. Il ragazzo, riavutosi dall’incidente, prima di uscire dall’ospedale cercò quell’infermiera che l’aveva accolto al suo risveglio ma non la rivide più. Forse non sapeva che era tornata a quelle nuvole tra le quali viveva.

Michele Rosa

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